SITTING VOLLEY: "Lo sport mi ha aiutato a rimettermi in gioco" intervista a Giuseppe Di Mare, atleta della Nazionale Italiana
L’argomento di oggi è lo sport inteso come integrazione
sociale, come modo di affrontare determinate situazioni e superarle con l’aiuto
del prossimo, socializzando e credendo gli uni negli altri. Il nostro
protagonista è Giuseppe Di Mare, atleta della Nazionale Italiana di Sitting
Volley, ci ha dedicato un po’ di tempo rispondendo alle nostre domande.
Presentati: chi sei e cosa fai nella vita?
Mi chiamo Giuseppe Di Mare, ho quarant’anni e attualmente non lavoro…
Il 23 febbraio del 2012 sono stato vittima di un incidente sul lavoro che è stato causato soprattutto dalla negligenza di altri: una scarica di corrente elettrica di 20000V mi ha investito per ben tre volte, l’ultima, fatale, mi ha lasciato a terra, anzi, appeso su un traliccio, avevo il corpo paralizzato, riuscivo a muovere solo la testa. Da lì poi mi è stata tagliata la cinghia che mi teneva legato al traliccio, mi hanno portato a terra, ed è da quel momento che ho primi ricordi dell’accaduto: sono stato sempre cosciente, poco dopo sono arrivate le forze dell’ordine, con un trattore mi hanno portato fino alla strada e con l’ambulanza sono arrivato all’ospedale di Cosenza. Lì sono stato soltanto una notte, e poi d’urgenza sono stato spostato all’Ospedale Antonio Caldarelli di Napoli, centro per i grandi ustionati, di cui ringrazio infinitamente tutto lo staff, in particolare quello del TIGU (terapia intensiva grandi ustionati) e della chirurgia plastica.
Al Calderelli sono stato all’incirca 100 giorni ed è proprio lì che ho vissuto una situazione un po’ particolare: sono stato portato in Sepsi, e da lì oltre ad aver rischiato quello che poi in realtà è successo, c’è stata la possibilità di non farcela: avevo questa forte infezione, la febbre molto alta e non si riuciva a trovare un farmaco che la debellasse.
Poi, il 3 marzo, ho subito l’amputazione della gamba destra, al di sotto del ginocchio. Da quel momento la mia vita è cambiata completamente, non ero più come prima, ho iniziato a vivere una vita diversa da quella che conducevo prima, mi sono dovuto adattare a tutte le situazioni, ho dovuto piano piano comunque ritornare a camminare. Naturalmente ritornare a camminare con un protesi, infatti grazie all’INAIL, avendo subito un incidente sul lavoro, sono riuscito ad avere una protesti molto avanzata e moderna che mi permette di camminare in modo disinvolto. Naturalmente una protesi non è come il proprio arto, con una protesi il problema non si risolve, viene attenuato e cerchi comunque di continuare a vivere nonostante la tua disabilità. Insomma, ho provato a fare quello che moltissime altre persone al mondo fanno, cioè non abbattersi difronte alle difficoltà della vita.
Dopo tre anni dall’incidente ho iniziato a conoscere uno sport, che mi avevano presentato anche al Centro Protesi di Budrio, il sitting volley. Mi sono avvicinato a questa attività grazie all’assocazione Rotonda Volley che mi ha permesso di entrare a far parte del loro team iniziando a praticare questo sport.
Spiegaci bene, in cosa consiste questo sport? Quali sono le
differenze con la pallavolo tradizionale?
Quando hai iniziato a praticare questo sport e cosa ti ha spinto a cominciare?
Ho cominciato a praticare questo sport all’incirca tre anni fa, in quello stesso periodo ho giocato con i ragazzi del Rotonda Volley in una rappresentativa a cui parteciparono anche la Campania e l’Emilia. Ricordo che noi arrivammo secondi, se non sbaglio fu l’Emilia Romagna a vincere.
Da allora ho iniziato a praticare questo sport anche a livello agonistico, e con me altri amici, anche loro con disabilità. Con gli anni le cose cambiano, la vita va avanti, e purtroppo poco tempo fa, uno di loro, Sax (Francesco Conte), come lo conoscevano tutti è stato stroncato da un infarto. Eravamo molto legati, era una di quelle persone che mi aveva sempre supportato e spronato a “mostrarmi” agli altri. Quando si ha una disabilità non è facile accettare che gli altri ti vedano, ti senti sempre come se fossi diverso.
Nella squadra di sitting del Rotonda Volley sono l’unico, al momento, con disabilità, adesso mi sento a mio agio con i miei compagni con i quali mi alleno 2 volte a settimana e con cuicondivido il campo. Inoltre ci tengo a dire che quella di Rotonda è un’associazione pionieristica in questo campo proprio perché mira a promuovere questa attività non solo a livello sportivo ma anche sociale nel nostro piccolo territorio ma anche in tutta la Basilicata.
Ho cominciato a praticare questo sport all’incirca tre anni fa, in quello stesso periodo ho giocato con i ragazzi del Rotonda Volley in una rappresentativa a cui parteciparono anche la Campania e l’Emilia. Ricordo che noi arrivammo secondi, se non sbaglio fu l’Emilia Romagna a vincere.
Da allora ho iniziato a praticare questo sport anche a livello agonistico, e con me altri amici, anche loro con disabilità. Con gli anni le cose cambiano, la vita va avanti, e purtroppo poco tempo fa, uno di loro, Sax (Francesco Conte), come lo conoscevano tutti è stato stroncato da un infarto. Eravamo molto legati, era una di quelle persone che mi aveva sempre supportato e spronato a “mostrarmi” agli altri. Quando si ha una disabilità non è facile accettare che gli altri ti vedano, ti senti sempre come se fossi diverso.
Nella squadra di sitting del Rotonda Volley sono l’unico, al momento, con disabilità, adesso mi sento a mio agio con i miei compagni con i quali mi alleno 2 volte a settimana e con cuicondivido il campo. Inoltre ci tengo a dire che quella di Rotonda è un’associazione pionieristica in questo campo proprio perché mira a promuovere questa attività non solo a livello sportivo ma anche sociale nel nostro piccolo territorio ma anche in tutta la Basilicata.
Adesso sei un atleta della Nazionale Italiana di Sitting Volley, come hai reagito quando ti è stato dato questo ruolo? Per te ha rappresentato un punto di partenza o un traguardo?
Ho reagito diciamo con molta soggezione potrei dire, perché è accaduto tutto così all’improvviso, sono stato catapultato nel mondo della Nazionale senza nemmeno averne inizialmente capito il valore. Mi sono ritrovato a giocare con atleti delle squadre nazionali come me. Grazie al sitting sono stato in molti Paesi: la Germania, l’Ungheria, la Polonia, la Croazia, lì con gli altri ragazzi abbiamo disputato partite internazionali con diversi stati, comunque in questi contesti riesci anche a percepire la professionalità di questo sport, e vedi anche il coraggio e la forza di volontà con le quali queste persone anche loro con disabilità, affrontano la vita e le sue avversità. Far parte della Nazionale è stata ed è ancora oggi per me un’esperienza molto positiva, capace di valorizzarmi e trasmettermi forza.
Come ti senti a rappresentate il tuo Paese all’Estero? È un
onore ma anche una grande responsabilità…

Spesso quello che provi, quel sentimento così forte ti impedisce di dare il massimo, ma sono comunque esperienze che nella vita non tutti hanno la possibilità di fare, quindi credo che quando qualcuno è così fortunato come lo sono stato io deve sfruttarle al massimo.
Spesso si parla di sport come “integrazione sociale”,
secondo te è una definizione corretta? Per te è stato così?

Dall’incidente in poi ho capito che fare sport è importantissimo, innanzitutto perché è la massima prestazione fisica che una persona riesce a realizzare, è uno sfogo personale, ci si rimette in gioco. Come ho detto prima sono stato diverse volte all’Estero, ho ripreso l’aereo, il treno, ho viaggiato, cose che prima facevo facilmente ma che dall’incidente in poi erano diventate molto difficili per me. Anche uscire di casa per fare un giro, arrivare in piazza era diventato difficile per me, sono cose che sembrano sciocchezze, ma in realtà non lo sono. Piano piano impari a rimetterti in gioco, a socializzare con gli altri, il sitting mi ha permesso tutto ciò, mi ha dato e mi da’ ancora oggi tante soddisfazioni.
Che ruolo ha avuto ed ha ancora oggi la tua famiglia in questo percorso? È stata un ostacolo o ti ha sempre supportato e spronato ad andare avanti con forza e determinazione?
La mia famigli è stata, come dire… il 100%! Capite, se non avessi avuto mia
moglie, mia figlia non avrei avuto la voglia di andare avanti. Vivere tutti i
giorni in casa tua con le difficoltà che hai non è facile, non apprezzi niente,
ti sembra tutto nero, non apprezzi la gente che viene a salutarti o a vedere
come stai, perché non vuoi farti vedere i quelle condizioni, è molto difficile
anche per chi ti sta intorno e vive con te tutti i giorni. Proprio per questo
dico che senza mia moglie e mia figlia non ce l’avrei fatta, loro hanno sempre
creduto in me che mi rialzassi di nuovo, mi hanno dato la forza di vivere
giorno dopo giorno. Anche i miei genitori sono stati importantissimi per me,
con i loro modi mi hanno sempre supportato ed aiutato, li ringrazio per quello
che mi hanno trasmesso, che è anche quello che sto cercando di insegnare a mia
figlia: l’amore, il rispetto, l’aiuto reciproco.
La mia famiglia per me è tutto, è qualcosa che sento sempre accanto a me.
Inoltre ci tengo a dire che per me la fede è stata importantissima in tutto quello che ho passato, sono molto credente e ciò mi ha dato la possibilità di pensare che quello che mi è successo non è stata solo una fatalità, ma forse un modo per farmi cambiare vita, per andare avanti e dare testimonianza alle persone che un incidente, una malattia non devono essere un freno, busogna sempre continuare a combattere.
Come ti vedi tra 10 anni?
Tra 10 anni sicuramente mi vedo più vecchio (ridendo), però mi vedo come qualcuno che può dire ad una persona che ha avuto il suo stesso problema di andare avanti come ci sono andato io, di insegnarle che nonostante ciò, ci si può costruire una famiglia, avere dei figli, crearsi un avvenire, e soprattutto rimettersi in gioco.
Siamo un blog che crede molto nei giovani e nei loro sogni, per cui, questa domanda per noi è d’obbligo: cosa ti senti di consigliare ai giovani che intendono intraprendere il tuo stesso cammino?
Tra 10 anni sicuramente mi vedo più vecchio (ridendo), però mi vedo come qualcuno che può dire ad una persona che ha avuto il suo stesso problema di andare avanti come ci sono andato io, di insegnarle che nonostante ciò, ci si può costruire una famiglia, avere dei figli, crearsi un avvenire, e soprattutto rimettersi in gioco.
Siamo un blog che crede molto nei giovani e nei loro sogni, per cui, questa domanda per noi è d’obbligo: cosa ti senti di consigliare ai giovani che intendono intraprendere il tuo stesso cammino?
Prima di tutto vorrei dire loro che quando si fa sport non è
semplicemente fare attività fisica, sport significa sacrificio, rinuncia,
impegno, non è come molti pensano “Ah quello gioca a pallavolo si diverte”, sì,
diverti, ma non è solo divertimento. Rinunci a tante cose, sei costretto ad
incassare colpi in tante situazioni, devi resistere a condizioni a volte non
ottimali. Ma
questo ti porta ad avere anche psicologicamente la capacità
di resistere ed essere costante in quello che fai.Un saluto?
Vi saluto tutti, vi abbraccio, vi dico: buona vita! Non abbandonate mai la voglia e la speranza di andare avanti. Nella vita le cose succedono, com’è successo a me, può succedere a tutti però non bisogna mai e poi mai avere pensieri negativi, quindi bisogna essere sempre positivi, aiutarsi l’uno con l’altro e soprattutto aiutare le persone che hanno difficoltà. Spero tanto che queste parole, come anche quelle di coloro che hanno vissuto situazioni come la mia possano essere d’aiuto a molti che spesso non trovano il coraggio nemmeno di uscire di casa, quella sì che sarebbe una vera e grande soddisfazione.
Ciao a tutti!
-Intervista a cura di Rosita De Tommaso (For infos and collaborations contact me by e-mail detommasorosita@gmail.com)
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